È difficile parlare degli ultimi venti anni della Rivista di filosofia, senza tener conto della sua lunga esistenza precedente, che risale al 1909, anno in cui nacque come organo ufficiale della Società filosofica italiana. Pur non andando tanto addietro, non si può definire la connotazione culturale della rivista senza tener conto, almeno, della sua storia nella seconda metà del Novecento. Come simbolico terminus a quo può essere assunto il 1952, anno nel quale la direzione fu assunta congiuntamente da Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio, mentre la gestione editoriale passava alla casa Editrice Taylor di Torino. Questi eventi segnarono una più marcata influenza sulla rivista da parte del “neoilluminismo”, inaugurato nel 1948, proprio sulle sue pagine, da un ormai storico articolo di Abbagnano: Verso il nuovo illuminismo: John Dewey. L’indirizzo neoilluministico impresso da Abbagnano e da Bobbio, tuttavia, costituiva una svolta soltanto relativa rispetto alla tradizione precedente della rivista, il cui carattere fondamentale è stato sempre quello della laicità e della critica di ogni forma di dogmatismo. Ciò è evidente sin dalla prima fase della sua esistenza, quando –pur non essendo stata mai un organo di scuola– la Rivista fu caratterizzata dall’incontro tra positivismo e neocriticismo, nascendo dalla confluenza di due precedenti giornali ottocenteschi, la Rivista di filosofia e di scienze affini di Giovanni Marchesini e la Rivista filosofica di Carlo Cantoni. Ma un indiscutibile esprit laïque ispira anche la fase, dal 1926 al periodo bellico, in cui la rivista fu segnata dalla presenza di uno spiritualista come Piero Martinetti (sebbene egli non ne sia mai stato direttore): è con Martinetti che si consuma materialmente il distacco dalla Società filosofica italiana, ormai entrata nell’orbita di una cultura fascista e filo-clericale. Del resto Martinetti era affiancato nel Comitato direttivo da Cesare Goretti, da Giulio Grasselli, ma soprattutto da Gioele Solari, che introdusse la nuova generazione dei Bobbio e dei Geymonat, futuri sostenitori del neoilluminismo.
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